E’ durante l’età arcaica che la statue greche iniziano il suo lungo cammino alla conquista di quella perfezione tecnica e di quell’equilibrio formale che ne costituiranno, in epoca classica, la straordinaria e insuperata caratteristica. Per sottolineare il parallelismo esistente tra lo sviluppo dell’architettura e della scultura arcaiche si è soliti individuare almeno tre correnti scultoree predominanti definite rispettivamente dorica, attica e ionica.
In particolare, quelle tra il VII e il VI sec. a.C. si sviluppano nel Peloponneso, la prima regione ad avere subìto sin dalla fine del secondo millennio a.C., l’invasione dei Dori, vengono appunto definite doriche. Tra gli elementi più ricorrenti e caratterizzanti della scultura dorica ricordiamo in primo luogo la predilezione per la figura umana, soprattutto maschile, la creazione di forme estremamente semplici e squadrate e l’adozione di proporzioni massicce, l’effetto che ne deriva è nel complesso, di grande solidità e potenza; le figure non obbediscono ad alcuna legge di somiglianza con la realtà naturale, ma, al contrario, alla volontà di esprimere una severità e una calma quasi soprannaturali. La corrente scultorea attica, temporalmente collocabile fra la prima e la seconda metà del VI sec. a.C., si sviluppa soprattutto ad Atene e nei territori limitrofi. Rispetto alla scultura dorica quella attica presenta una maggior cura nella rappresentazione e nel proporzionamento dei vari particolari anatomici.
La corrente ionica, pur essendo contemporanea a quella attica, attinge alla tradizione orientale ed è pertanto caratterizzata da una maggiore raffinatezza del modellato e dall’uso dei proporzioni più dolci e slanciate. Le figure che ne risultano sono quindi rigide e spigolose e anticipano in modo sempre più evidente l’equilibrio formale della statuaria classica.
I soggetti rappresentati nelle sculture arcaiche sono riconducibili a due tipologie principali il koùros (plurale koùroi), e la kòre (plurale kòrai), il koùros è un giovane uomo nudo, in posizione eretta, raffigurato con la testa alzata, le braccia convenzionalmente stese lungo i fianchi, i pugni serrati e la gamba sinistra leggermente avanzata, quasi ad accennare un passo. La kòre rappresenta invece una giovane donna vestita con tunica e mantello, anch’essa in posizione stante, con la testa eretta, i piedi uniti, un braccio steso lungo il fianco a reggere la veste e l’altro ripiegato sul petto in atto di recare un vaso o un piatto con delle offerte, koùroi e kòrai possono indifferentemente raffigurare divinità, personaggi eroici o essere umani a conferma di come per i Greci gli uomini avessero sempre dignità e importanza pari a quelle degli dei.
Il termine koùros, infatti identifica un giovane, nel pieno e vigoroso splendore del suo sviluppo fisico e nell’armoniosa completezza dello sviluppo interiore, analogicamente la kòre non è solo una giovinetta nel fiore della sua femminilità, ma possiede anche la matura consapevolezza della donna. Entrambi sono dunque personaggi simbolici, che tendono a riunire in sé l’ideale assoluto della bellezza fisica e di quella interiore.
La scultura arcaica si ispira con estrema evidenza, almo nelle sue fasi iniziali, a quella di carattere votivo. Ciò non deve meravigliare in quanto, con ogni probabilità, i fiorenti scambi commerciali attici in ambito mediterraneo avevano consentito ad alcuni artisti greci di venire in contatto con statuette di provenienza egizia o, quantomeno, di averne avuto attendibili descrizioni. Opere simili alla figura di Ir-aa-Khonsu, come questa in figura, sono provenienti dagli scavi di Karnak e ora conservate al Museum of Fine Art di Boston, ed hanno forse circolato anche in Grecia.
Si noti al riguardo la forte somiglianza stilistica con le statue greche arcaiche, soprattutto per quel che concerne la gamba sinistra avanzata e la rigida posizione delle braccia, con i pugni serrati intorno a due corti cilindri, simbolo del potere. Le differenze, semmai, stanno nelle finalità: la statuaria religiosa egizia, pur essendo fortemente simbolica, rispetta i caratteri distintivi dei volti, mentre quella greca tende a proporre forme e rappresentazioni di tipo ideale, che non conservano più nulla dei modelli reali di partenenza.
Uno dei più significativi esempi di scultura dorica di epoca arcaica ci è offerto da una coppia di koùroi risalenti al 600 – 590 a.C., attribuiti a Polimède (o Ymèdes), uno scultore originario della città peloponnesiaca di Argo. I koùroi rappresentano i fratelli Klèobi e Bitòne, figli di Cidìppe, una sarcedotessa della dea Hera.
I due giovani, per consentire alla madre di arrivare puntualmente al tempio di Argo nonostante che i buoi del suo carro non fossero ancora pronti, si sostituirono a essi e lo trascinarono per ben 45 stadi (8 km circa). Cidìppe, riconoscente, pregò Hera affinché ricompensasse degnamente tale sacrificio e la dea, commossa dal generoso gesto dei due giovani, li fece sprofondare in un sonno piacevole ed eterno, al fine di preservarli per sempre dall’invecchiamento e dalla morte.
Le due statue, che nelle proporzioni tozze rivelano tutta la massiccia espressività della scultura dorica, le braccia molto muscolose, sono leggermente flesse e i polpacci appaiono evidenziati in modo quadi innaturale, anche la testa dei koùroi è, del resto, eccessivamente sovradimensionata. La sua forma squadrata, comunque, contribuisce a conferirle un senso di maestosa gravità, ulteriormente accentuata dalla voluminosa capigliatura, che ricade sulle spalle con pesanti trecce.
Sotto la bassa fronte e le ampie arcate sopracciliari sporgono due grandi occhi a mandorla, di evidente derivazione egizia, mentre le labbra risultano appena increspate in una sorta di misterioso sorriso; si tratta del cosiddetto sorriso arcaico, comune a molte sculture greche del tempo; ad esso alcuni moderni storici dell’arte attribuiscono un preciso significato di serenità e freddezza interiore.
In Klèobi e Bitòne anche il sagomato delle ginocchia e dell’addome è ancora assai semplice e assolutamente non realistico. Esso, infatti, viene reso mediante una serie di incisioni convenzionalmente geometriche: circolari per dare l’idea della cassa toracica e dell’addome.
Due statue, nonostante che il loro volume massiccio possa far credere il contrario, sono state scolpite per essere osservate frontalmente, secondo una tradizione scultorea ancora ricollegabile, all’arte egizia; viste di lato, infatti, esse perdono gran parte del loro vigore e della loro espressività.
Segue la 2° parte
M° Monica Isabella Bonaventura
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