SCORCI SULL’ARTE: L’arte etrusca dal periodo villanoviano all’età orientalizzante, IX-VI secolo a.C. – parte seconda

Riprendiamo con la seconda parte della nostra panoramica sull’arte etrusca del periodo orientalizzante, analizzando forse l’aspetto più caratteristico che questa civiltà ci ha lasciato: la pittura. Infatti, di tutti i popoli sviluppatisi prima dei Romani, gli abitanti dell’Etruria sono gli unici ad aver tramandato una grande testimonianza pittorica. È sopravvissuta essenzialmente all’interno delle tombe, unici edifici ad esser giunti sino a noi quasi o totalmente integri, ma si suppone che siano state dipinte anche le stanze delle abitazioni, in quanto i sepolcri riproducevano tali ambienti in ambito funerario.
Le prime manifestazioni di pittura etrusca risalgono al VII secolo a.C. e sono purtroppo molto danneggiate a causa della tecnica utilizzata per dipingere, cioè direttamente nella roccia senza lo strato d’intonaco. La più antica tomba dipinta è quella delle Anatre di Veio, risalente alla prima metà del VII secolo. Si presenta con un tetto a quattro falde dipinto di giallo e rosso disposti in maniera alternata, mentre le pareti hanno lo zoccolo in rosso con una banda tricolore gialla, nera e rossa che lo separano dalla parte superiore, in cui sono presenti cinque volatili acquatici, in un motivo detto “ad aironi”, stilizzati e realizzati sia a contorno che a silhouette, sempre in rosso, in giallo e con dettagli in nero. La gamma cromatica limitata e lo stile richiamano molto le decorazioni delle ceramiche dell’Etruria meridionale, tanto da far supporre che il pittore fosse un ceramista.
Altro luogo importante è Cerveteri che, nel corso del VII secolo, diventa il centro di sviluppo delle tombe dipinte sia in modo semplice, con motivi geometrici che decorano gli elementi architettonici, come le travature o incorniciature di porte, sia anche sepolcri che son diventati la più grande testimonianza del periodo orientalizzante, andate quasi del tutto perdute. Un esempio è la tomba degli Animali Dipinti, dove nel vestibolo, presenta una decorazione animalistica con figure umane munite di arco, dove appaiono un leone, un cervo e scene di caccia.
Una delle più rappresentative si trova a Veio ed è la tomba Campana che risale all’ultima fase del periodo, con la pittura che occupa un’intera parete della prima camera. Vi è una grande decorazione con animali, figure umane e intrecci vegetali realizzati in tricromia, ancora una volta in rosso, giallo e nero e i soggetti probabilmente provengono da quelli presenti nelle abitazioni. La parete dipinta è divisa in quattro registri, due a destra e due a sinistra della porta che conduce nella stanza più interna. Nei registri inferiori sono rappresentati grandi felini, una sfinge, un cane e un capriolo, mentre in quelli superiori vi sono anche figure umane. Nella parte sinistra è presente una pantera seduta dietro ad un uomo a cavallo e dalla parte opposta c’è un cavaliere con il proprio attendente, preceduto da un portatore bipenne che conduce l’animale, con un cane tra le zampe e in groppa una piccola pantera, forse a simboleggiare il viaggio del defunto verso gli inferi.

Esempio di anforetta in bucchero con motivi a “ventaglietti” e fregio animalistico

Un ultimo esempio di pittura del periodo si trova a Tarquinia e conosciuta con il nome di tomba delle Pantere, è l’unica della città risalente all’età orientalizzante. È una sepoltura ad una sola camera, che presenta nelle pareti ai lati dell’ingresso due dipinti di fiere, da una parte due pantere sdraiate e dall’altra due esemplari che si fronteggiano. Sono realizzate in maniera stilizzata, in rosso con la linea di contorno nera e il manto maculato, con una zampa sollevata su una protome dalle sembianze mostruosa, con l’animale di sinistra che volge il muso verso lo spettatore. Come per la tomba delle Anatre, anche qui i soggetti sono ispirati a quelli presenti sulla ceramica etrusco-corinzia del periodo.
Un altro aspetto importante dell’arte etrusca è la ceramica, che continua sostanzialmente la produzione geometrica precedente. Sono presenti ancora un ristretto repertorio di forme con le stesse decorazioni, tanto che la prima parte del periodo viene definito “sub-geometrico”, anche se si assiste all’arrivo degli influssi culturali da Corinto e dall’Attica, che si diffondono in maniera omogenea.
La produzione si diversifica nelle città, dove a Vulci e a Tarquinia, le ceramiche sono realizzate secondo la tradizione euboica, con decorazioni geometriche all’interno di metope, mentre a Cerveteri e a Veio vengono utilizzate silhouette di pesci e di rami disposti in fila, che avranno talmente successo da essere ripresi nelle decorazioni delle tombe, come quella delle Anatre analizzata in precedenza. Sempre a Cerveteri si sviluppa questo tipo di decorazione corinzia, luogo in cui si riuniscono inoltre, i più grandi maestri ceramisti come il pittore della Gru che per primo inserisce la figura umana all’interno di scene animali e a cui si deve la più antica rappresentazione etrusca di centauro. Intorno al 680-660 a.C. con la produzione del pittore dell’Eptacordo, compaiono scene narrative e mitologiche, come la danza acrobatica di figure armate con spade, lance e un suonatore di cetra, oppure scene legate alla guerra di Troia, dove una donna accarezza un guerriero. Un’altra scena mitica compare nei vasi del cosiddetto pittore di Amsterdam risalente al 660-640 a.C., che raffigura un episodio degli Argonauti, con Medea che addomestica il drago Colchide. Altro esempio è il vaso prodotto dal pittore Aristonothos, di origine greca ma operativo a Cerveteri, che presenta da un lato l’accecamento di Polifemo e dall’altra una battaglia navale forse tra Greci ed Etruschi. A partire dal 630 a.C., inizia la produzione di ceramica dipinta ad imitazione corinzia, definita etrusco-corinzia che continuerà per oltre un secolo. Questo accadde perché in Etruria vi erano molti artisti provenienti da Corinto, arrivati nella zona meridionale a partire da un certo Demarato, che intorno alla metà del VII secolo fuggì dalla sua città dopo l’istaurazione del governo tirannico dei Cipselidi (dinastia che prese il comando a Corinto nel VII secolo con Cipselo, dal quale deriva poi il nome della famiglia). Le ceramiche prodotte hanno forme che richiamano quelle corinzie, come vasi da banchetto, da mensa e balsamari.
La produzione si diversifica poi da zona a zona, come a Vulci dove all’inizio vengono realizzati oggetti a figure nere, mentre a Cerveteri e nella parte meridionale si utilizza la tecnica policroma con sovratinture di bianco e viola per i dettagli interni delle figure a incisione su uno sfondo scuro. I soggetti sono quasi tutti animali reali o fantastici provenienti dalla tradizione corinzia uniti a quelli di origine greco-orientali ed etruschi. Nella città di Vulci sono presenti due artigiani che diventano i protagonisti di questa prima fase: il Pittore delle Rondini, di origine greco-orientale e il Pittore della Sfinge Barbuta proveniente da Corinto. Il primo segue la sua tradizione e crea ceramiche decorate da file di animali con la linea di contorno, soprattutto stambecchi. Il secondo, invece, fu il vero e proprio capostipite di questo tipo di lavorazione e usa motivi estranei sia alla sua cultura che a quella etrusca, utilizzando la sfinge barbuta, da cui poi deriverà il suo nome, illustrata con un copricapo a polos (copricapo di forma cilindrica, quadrangolare o sferica, indossato dalle divinità femminili del Vicino Oriente e poi adottato dai Greci). Il suo stile in breve tempo diventa monumentale e aumenterà anche il numero di soggetti dipinti, inserendo anche figure mitologiche.
A Cerveteri compaiono artigiani che utilizzano la tecnica policroma in vasi di grandi dimensioni e tra questi spicca il cosiddetto Pittore dei Cappi, la cui produzione è quasi esclusivamente in anfore con anse a nastro, con animali reali o fantastici di varia provenienza, maestosi sia per la cromia che per la forma. Infine, sia qui che a Veio è segnalata la produzione di piccoli balsamari decorati con animali in miniatura, in pieno stile corinzio.
Alla seconda generazione di Vulci appartengono i Pittori di Boehlau, di Pescia Romana e di Feoli. Il primo utilizza schemi decorativi orientalizzanti, soggetti animali monumentali, mentre

Fibula Aurea, secondo quarto del VII secolo a.C., da Cerveteri, necropoli del Sorbo, tomba Regolini-Galassi, Roma, Palazzi Vaticani, Museo Gregoriano Etrusco

gli altri due hanno una maggiore padronanza di nuove composizioni e utilizzano nuovi soggetti nei fregi figurati. In contemporanea a Cerveteri si afferma la ceramica a figure nere, soprattutto nella bottega chiamata degli Anforoni Squamati, dal motivo decorativo dominante, che sostituisce quasi tutta la decorazione figurata.
Non si può parlare di arte etrusca senza trattare il bucchero, nuovo tipo di ceramica caratteristico dell’Etruria, che compare dal secondo quarto del VII secolo a.C. e che avrà un grandissimo successo in tutto in bacino del Mediterraneo. Il bucchero è una ceramica depurata di pregio di colore nero sia in superficie che all’interno, ottenuta tramite la cottura in un’atmosfera riducente, cioè priva di ossigeno. Le prime attestazioni provengono da Cerveteri, ritenuto il centro d’origine della produzione e della diffusione, con molte più forme rispetto alla ceramica tradizionale, come servizi da mensa, da banchetto, balsamari, vasi rituali, brocche dal collo allungato, anfore a spirali e altre di varia origine. Le decorazioni sono generalmente figure geometriche impresse o graffite, come i classici “ventaglietti” oppure fregi animalistici a graffito o rilievo, mentre sono rare le figure umane. A volte vengono aggiunti sostegni ornamentali

plastici a forma umana o mostruosa, soprattutto nei calici e nei vasi. La produzione più antica si presenta con uno spessore degli oggetti più sottile, tant’è da essere definito “bucchero sottile”, la lucentezza della superficie e il profilo liscio e teso delle anse che ricorda i vasi di metallo. Dalla seconda metà del VII secolo, si sviluppano altri centri nell’Etruria meridionale, con la riduzione della varietà delle forme, ma iniziando l’esportazione degli oggetti nel Mediterraneo, probabilmente dovuto allo sviluppo contemporaneo del commercio del vino.
Infine, per concludere l’analisi del periodo orientalizzante, bisogna inoltrarsi in un’altra manifestazione della produzione artistica: l’oreficeria. Durante questa fase, nelle città etrusche erano presenti grandi quantità di beni di lusso realizzati in materiali preziosi, che richiedevano grandi abilità tecniche per poter essere lavorati e che portavano presso le corti principesche e aristocratiche, un’alta presenza di artigiani stranieri dal Vicino Oriente e dalla Grecia. L’oreficeria si sviluppa già in età villanoviana, ma nel corso del VII secolo vede aumentare di molto la produzione e il perfezionamento delle tecniche e delle iconografie, introdotte dalle maestranze orientali. In questo momento lavorazioni come la filigrana (realizzazione a fili per motivi a nastro); la granulazione (applicazione di piccolissime sferette d’oro per il contorno delle figure, per riempire la silhouette, per creare motivi geometrici o dettagli); il pulviscolo (applicazione di polvere d’oro); lo sbalzo e le figure a tutto tondo raggiungono altissimi livelli. Gli oggetti prodotti richiamavano i bronzi dell’età precedente, ornamenti femminili come fibule, spilloni, ferma trecce, collane, bracciali e quelli maschili come fibule e affibiagli per bloccare la veste sulla spalla. I soggetti erano generalmente geometrici, animali e figure umane provenienti dal repertorio orientale. Oltre a Cerveteri, che fu la prima città ad evolvere le nuove tecniche orafe, vi è un’altra bottega a Vetulonia dove si afferma la decorazione principalmente a pulviscolo. Oltre a gioielli, vennero prodotti anche vasellame in oro e argento, che prodotti da artigiani stranieri, riprendevano le forme proprie della loro ceramica locale.
Un esempio dell’oreficeria etrusca è la Fibula Aurea, un grande fibbia rinvenuta in una “cella” adibita a sepoltura femminile, della Tomba Regolini-Galassi a Cerveteri, che rappresenta il simbolo di questo periodo per la ricchezza degli arredi ritrovati. La fibula si presenta da una parte con una piastra ovale collegata ad una grande staffa da una cerniera formata da due barrette trasversali semicilindriche, decorate con un motivo a zig- zag e pendenti a forma di palmetta alle estremità. La piastra ovale è decorata da sette file di piccole oche a tutto tondo intervallate da file di grifoni a stampo. La staffa è decorata con 5 leoni disposti su due file, con il bordo ornato da un motivo ad archi incrociati che terminano con una palma fenicia. Gli ornamenti sono realizzati tutti con la tecnica della granulazione e soggetti di provenienza orientale uniti alle forme di derivazione villanoviana. Di Deborah Scarpato

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