RAPPRESENTARE LO SPAZIO – La percezione

Rappresentare realisticamente l’ambiente in cui ci muoviamo e gli oggetti collocati nello spazio è sempre stato per gli artisti di ogni epoca una prova di bravura. Infatti è difficile dare l’illusione della profondità disegnando o dipingendo su una superficie piana. Non in tutte le epoche, però, lo spazio è stato concepito dagli artisti nello stesso modo o gli è stato dato lo stesso significato.

L’esperienza sensoriale

Siamo immersi nello spazio e siamo corpi a tre dimensioni; la percezione della spazialità è la nostra prima esperienza di vita, accaduta quando al chiuso del ventre materno siamo stati espulsi nel mondo esterno. In condizioni neonatali abbiamo sperimentato lo spazio con il tatto, con l’olfatto, con l’udito, con il gusto, poco con la vista. Ma quando siamo stati in grado di vedere bene, soprattutto con questo meraviglioso “strumento” di orientamento? La percezione visiva immediata dello spazio è quella che mettiamo in atto nella quotidianità, accompagnata dall’appoggio delle atre sensazioni. Ci muoviamo generalmente in spazi contenuti, per i quali è sufficiente il nostro campo visivo che è limitato; ma quando affrontiamo spazi superiori ad esse, come quando guidiamo lo scooter per esempio, dobbiamo potenziare le nostre facoltà percettive visive e uditive, per calcolare le distanze anche attraverso la valutazione dell’intensità dei rumori.

Situazioni spaziali

Con il corpo e il suo movimento percepiamo lo spazio a livello organico, spostandoci nel vuoto, le sensazioni che ne derivano sono relative alla nostra posizione, agli ostacoli ovvero agli altri corpi tridimensionali che incontriamo; è lo spazio vissuto fisicamente e anche emozionalmente. Abbiamo elaborato schemi di riferimento, di cui il principale riferimento alla posizione verticale del corpo, con i piedi bene appoggiati al suolo. Il nostro organismo può essere proiettato fuori da ogni schema di riferimento mentale, in questo caso l’esperienza dello spazio, del vuoto, non è solo sensoriale, ma emozionale; cioè entrano in gioco le componenti psicologiche: la paura, l’euforia, la tensione, il turbamento. I salti nel vuoto degli sciatori per esempio, richiedono un forte dominio delle emozioni e un saldo controllo dei muscoli. Strisciando in un cunicolo sotterraneo possiamo provare sensazioni ed emozioni opposte a quelle che prova un paracadutista librato nell’aria. Essendo immersi nello spazio reale sperimentiamo in continuazione il troppo vicino, il troppo in alto, il troppo stretto e il troppo largo, situazioni che coinvolgono sia il nostro corpo fisico che la mente, nella quale il concetto di spazio assume significati psicologici individuali. In un luogo affollato possiamo sentirci a disagio, una folla troppo fitta può scatenare addirittura il panico, perché per ogni essere vivente deve essere disponibile un’adeguata porzione di spazio vitale. Gli animali possiedono un acuto senso dello spazio sia visivo che tattile.

Lo spazio interiorizzato, psicologico, simbolico e sacro

Analizziamo per esempio una grande sala riunione di una importante Azienda, spoglia senza quadri né librerie, un lungo tavolo, di cui vediamo le linee prospetticamente convergenti, è attorniato da tante sedie tutte uguali e con una particolare disposizione spaziale, sopra e in linea ad ogni sedia ci sono dei notes e a intervalli di due posti un porta penne. Chi potrà essere il personaggio che si siederà a capo del tavolo? Che atteggiamento avrà? Chi attenderà? La sua posizione nello spazio dell’ambiente indicherà in lui una posizione particolare nella società? Questa immagine che ci stiamo immaginando, attraverso gli oggetti e le loro relazioni con lo spazio, è ricca di messaggi, comunica un contenuto. Ora immaginiamo il dipinto di Vincent Van Gogh “La rotonda dei detenuti”, uno spazio angusto e cupo, trasmette a noi che lo osserviamo un senso di angoscia.

Possiamo soltanto immaginare come lo abbiano vissuto, fisicamente e mentalmente, i detenuti raffigurati dal grande pittore. Un’immagine di rassicurate tenerezza invece sono quelle date generalmente da raffigurazioni religione, porto l’esempio di Piero della Francesca “Madonna della Misericordia”, il grande mantello si fa spazio e rifugio, si noti la sproporzione nei rapporti spaziali fra protettrice e protetti, voluta dall’autore per esprimere uno spazio sacro, in cui i comuni mortali sono inferiori in tutti i sensi alla Vergine della Misericordia.

La relazione spaziali fra gli oggetti e di questi con lo spazio che li contiene parlano dei rapporti umani più di un trattato di sociologia. Osserviamo in TV l’aula parlamentare o altri luoghi dove si riuniscono personalità importanti, esaminiamo la posizione nella scala del potere. Più andiamo indietro nei secoli, più i potenti sono isolati in un vuoto sacrale: i potenti della terra e le divinità. Possiamo prendere in considerazione anche la vita comune e quotidiana per sorprenderci dell’innumerevole quantità di casi in cui lo spazio assume un valore psicologico e simbolico: cioè sostituisce un concetto, ne è la visualizzazione. Nell’affresco medioevale di Giusto Dè Menabuoi, lo spazio centrale è occupato da Cristo, che è la figura più grande, segue la Madonna e diminuiscono in proporzione le figure dei Santi. Dal Cinquecento fino al Barocco la rappresentazione dello spazio architettonico diventa scenografica, cioè illusionistica come il fondale di un teatro. Questa modalità è precocemente attuata nelle cappelle del Sacro Monte di Varallo, dove la teatralità della rappresentazione sacra richiese la collaborazione di pittori e scultori. Nel Settecento la visione dello spazio si modifica con l’uso della camera ottica, uno strumento che precorre l’apparecchio fotografico e che i vedutisti veneziani utilizzano per visualizzare le prospettive della loro città e mettere a fuoco i dettagli più lontani dall’occhio. Nell’ottocento la rappresentazione dello spazio non sottintende più un valore simbolico e gli artisti si sentono liberi di attenersi ai dati della percezione o di usare la prospettiva secondo le proprie esigenze espressive. Nell’opera di Giuseppe Pellizza da Volpedo, “Fiumana”, il pittore volendo raffigurare una gran massa di gente, è ricorso alla sovrapposizione di colte teste; le tre figure in primo piano creano uno stacco che dà spazialità alla composizione. Più avanziamo nel novecento, più vediamo la pittura allontanarsi dall’idea dello spazio, qual era stto concettualizzato nel Rinascimento. I Cubisti volevano raffigurare una visione delle cose come se fossero guardate da più di un punto di vista: una visione sfaccettata e poliedrica. L’Astrattismo appiattì le forme sulla superficie del piano, annullando la loro terza dimensione, l’espressionismo astratto annullò totalmente le direzioni fondamentali alto/basso, dietro davanti.

Concludendo questo breve viaggio nella storia dello spazio figurativo, posso tuttavia riconoscere che anche nelle più estreme espressioni artistiche le nostre facoltà percettive colgono i più impercettibili indizi spaziali. Attraverso le forme e attraverso il colore.

M° d’Arte Monica Isabella Bonaventura

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