A Praga inaugura ET CETERA FESTIVAL 2022 | Street Art For Freedom

ET CETERA FESTIVAL 2022 | Street Art For Freedom è il titolo della rassegna che si inaugura oggi a Praga, promossa da Fondazione Eleutheria, Municipio di Praga 5 e città di Pistoia, il secondo appuntamento di un’importante mostra/performance artistica ad opera di dieci importanti giovani artisti cechi ed italiani per celebrare la libertà. Questa rassegna si inserisce nel quadro di un evento transnazionale che ha coinvolto due nazioni, la Repubblica Ceca e l’Italia, due città, Praga 5 e Pistoia, e ha visto la sua prima tappa a maggio di quest’anno nella città italiana di Pistoia dove artisti cechi e italiani erano chiamati a creare e mostrare i propri lavori di street art sul tema della pace e libertà.

Dopo i successi di “Et Cetera” degli anni precedenti nei vari campi dell’arte, la Fondazione, con questa nuova edizione del progetto culturale dedicato alla promozione di giovani artisti, si concentrerà sulla Street Art.

I dieci artisti sono: Maxim, Jan Brěnek, David Strauzz, IamRushDog, Jakub Uksa, Eliseo, Gojo, Giusy Guerriero, Korvo e Sowet, esponenti della Street art, una forma d’arte oramai “ufficializzata” e conosciuta in tutto il mondo, compresa non solo dagli addetti ai lavori del settore artistico-culturale ma da tutti, anche perché questa forma d’arte vuole comunicare con la gente. L’universalità del messaggio ben si collega con il contemporaneo universo estetico eterogeneo in cui viviamo. Le opere penetrano nella vita quotidiana della società e si caratterizzano per far rifletter sul luogo, tempo e situazione dell’essere, creando, spontaneamente, uno particolare rapporto tra ambiente, fruitore ed opera-artista. Street art significa democrazia, pieno ripristino del binomio arte-società quasi a voler esaltare il valore sociale della prima. Una visione utopica di una società armonica che fa sì che un semplice muro presente casualmente in strada permetta ad uno o più artisti di realizzare un “unicum” (opera singola o di gruppo) costantemente sottoposto a circostanze ambientali (spazio-tempo) e sociali. Per queste “interferenze” la Street Art, che fa “rete” con un ritmo-contatto quasi elettromagnetico (onde), diventa specifica espressione del nostro tempo, in perfetta simbiosi con la società, essendo autentico vettore comunicazionale. È forse l’esempio più vistoso di massificazione di un’arte che esce dall’atelier dell’artista, dalle gallerie pubbliche e private, dai musei per diventare fruibile e godibile per l’intera società senza distinzione di censo, origini, professioni e stato sociale.

Condividere spazi e pensieri è proprio di ogni street artista, una caratteristica iniziata agli albori quando, durante la Seconda guerra mondiale, il graffito “Kilroy” divenne icona di un profondo sentimento di libertà. Sorprendere, far pensare ed occupare spazi inusuale e, spesso, proibiti erano le matrici dei primi graffiti.  Negli anni ’60 tra gli scaffali di colori e pennarelli compaiono le bombolette spray. Una rivoluzione tecnica. Ed ecco che arrivano le “tags”, le firme grafiche che, grazie ad un giovane artista di New York “Taki 183” – che diffonde trecentomila firme-, sono considerate un nuovo fenomeno di arte, in cui il segno si contamina con la grafia e viceversa, forma e parola (writing). Da lì a poco i writers scelgono come supporto le pareti esterne dei treni, un modo per divulgare maggiormente la nuova rivoluzione estetica ed anche per far viaggiare i propri pensieri, la propria identità alla ricerca di feedback. Dagli anni Settanta il graffito assume nuove valenze estetiche con la costante che, come la pittura, anche la Street rappresenta l’enigma della visibilità. I nuovi codici linguistici iniziarono a dialogare con immagini: una nuova tendenza che, con velocità, si diffuse dagli USA in tutto il mondo.

La Street Art ha avuto un notevole sviluppo negli anni ’80, quando cioè la comunicazione di massa prendeva definitivamente piede grazie allo sviluppo informatico. Infatti, questo tipo di espressione artistica può inserirsi a giusto titolo nel concetto di “villaggio globale”, vaticinato dagli esperti in comunicazione del dopo-guerra. Le sue radici affondano spesso e volentieri nel terreno della contestazione, spesso anche molto spinta e tagliente. È un movimento che ha trovato sin dall’inizio del suo diffondersi linfa vitale proprio nel rifiuto di regole e principi “borghesi” nonché nella denuncia delle più flagranti violazioni dei diritti umani perpetrate dai poteri forti (spesso occulti) dei nostri tempi. In tal senso, per alcuni artisti rappresenta un mezzo pacifico per diffondere le proprie opinioni, una sorta di manifesto politico, una chiamata a raccolta per persone che hanno opinioni comuni, centro virtuale di coloro che si sentono oppressi e discriminati, sfruttati e non rappresentati, emarginati ed isolati. Tutti costoro, grazie all’arte di strada, diventano collettivamente forti. Dunque, una voce artistica pacifica. Nel valutarla, spesso ci troviamo di fronte ad un solido contenuto estetico, dal quale traspare un alto senso civile e particolare attenzione pubblica. Lo stesso anonimato – dietro il quale a volte l’artista si nasconde – può rendere l’opera un manifesto di propaganda clandestina (di “pasquinata” memoria), che riecheggia quelle analoghe vissute nelle dittature di un passato nemmeno troppo lontano o nei famosi murales messicani di Ravera.

Nata nella East Coast, la Street Art si è rapidamente diffusa in tutti i continenti attraverso tecniche espressive poliedriche ed estremamente fantasiose. Steve Powers a New York, Kid Zoom in Australia, Bansky a Londra, Os Gemeos (Otavio e Gustavo Pandolfo, i due artisti gemelli brasiliani classe 1974 che partiti dalla breakdance iniziano a dipingere nel 1987) sono soltanto alcuni fra i più noti protagonisti di questa insolita “avventura artistica”, che ha ormai travalicato i confini di una caotica iniziale sperimentazione per assumere l’identità di un vero movimento, che ha conquistato una nobile collocazione nel quadro dei valori dell’arte contemporanea.

Fino agli anni ’90 le forme di Street Art, considerate inizialmente come movimento post-graffito, sono giudicate azioni vandaliche e sono messi al bando da amministrazioni cittadine non ancora in grado di capirne la loro forza dirompente proprio perché “pubbliche”. Ed ecco che molti artisti decidono di riunirsi in comunità: le “crew”. Tag e graffiti scavalcano le barriere dei luoghi periferici e si impossessano di spazi centrali, spazi d’azione. Si apre la “caccia anti-tag”, emblematica quella di stampo californiano e quella attuata a Los Angeles. Troviamo interessanti fenomeni, rafforzati anche dall’uso di sticker e poster, anche in Europa, in particolare in Francia, Spagna, Germania.

Nel terzo millennio, gli artisti della Street Art sono ormai riconosciuti ed apprezzati.

I più qualificati e conosciuti rappresentanti appartengono alla generazione dell’ultimo quarto del XX Secolo (tra le “icone”: Shepard Fairey americano classe 1970, Bansky inglese classe 1974 (1975?)), Space Invader francese classe 1979 e il caso dell’artista che non esiste, opera d’arte vivente creata da Bansky, ovvero Mr. Brainwash.

Una caratteristica fondamentale della Street Art è quella di poter essere osservata, criticata, dileggiata, esaltata, perseguitata da tutti coloro che usufruiscono del panorama urbano. Artisti come Diamond, Invader e JBRock, creano mappe in continuo aggiornamento che diffondono tramite Google, in quanto Internet è un canale di diffusione molto usato dagli street artisti, che non disprezzano neppure gli altri social network come MySpace, Facebook, Instagram, Tik Tok, ecc. L’arte si pone quindi al servizio del gusto estetico della “gente comune”, fondendosi intimamente con lo scenario urbano, mirando a diventarne parte integrante (muri assegnati legalmente o no). In tal modo, l’opera è suscettibile di essere valutata per la diversità di situazione di vario tipo che il contesto cittadino, nel quale è stata concepita e realizzata, può proporre al fruitore del momento. La Street Art è, di conseguenza, la più diretta e completa forma di arte contemporanea ambientale e sensoriale in continuo divenire. Infatti, le costanti dell’immagine rappresentata e relativi messaggi sono perennemente rimpostati dal singolo osservatore, che, come in una performance, diventa parte integrante dell’opera stessa e in balia di sensi propri o circostanti: si azionano vista, udito, olfatto, tatto e gusto.

È la molteplicità dei simboli, dei significati, dei valori, dei mezzi espressivi a rendere la Street Art un movimento non facile da catalogare e valutare. Si può dire che in essa ritroviamo tutta l’ambiguità della nostra epoca all’interno della quale il prodigioso progresso scientifico è accompagnato da un pauroso vuoto dell’essere. L’uomo contemporaneo, geniale protagonista di scoperte sempre più mirabolanti e di conquiste incredibili, più che mai artefice della propria esistenza, incomparabile ed inesausto viaggiatore del suo tempo verso un futuro sempre più prossimo, si conferma incapace di conoscere se stesso (ricordiamo lo “gnosce te ipsum” di Socrate) ed è pertanto portato a trasformare la propria creatività in un processo di autodistruzione. Lo street artista vuole forse denunciare questa flagrante contraddizione, e lo fa nel modo più clamoroso, uscendo dal suo atelier, dal “clan del mondo dell’arte” e mischiandosi tra la folla. Egli spera, forse, che la sua opera raggiunga il più vasto numero di persone per trovare colui o coloro in grado di invertire questo perverso senso di marcia e trasformare il folle progetto suicida dell’umanità in un percorso virtuoso, in direzione di un autentico progresso etico e morale dell’uomo.

Genny Di Bert

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